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STRESA - 18-12-2021 -- La fattura è stata respinta e l’impresa di pompe funebri ha già fatto ricorso alle vie legali, incaricando un avvocato che ha recapitato un’intimazione di pagamento. C’è anche questo, il rimpallo delle responsabilità economiche con il serio rischio di una causa civile, tra i fatti che riguardano il disastro funiviario del Mottarone.

Al centro del “caso”, che in questi giorni ha impegnato anche la Corte dei conti del Piemonte, c’è il rifiuto di Stresa a saldare il conto del recupero delle salme delle vittime dell’incidente funiviario del 23 maggio.

In vetta, sui declivi del Mottarone, l’impresa di pompe funebri chiamata nelle ore dell’emergenza, raccolse i resti di 13 vittime (una, un bimbo di cinque anni, era deceduta in ospedale a Torino), li compose nelle casse e li portò nella camera mortuaria dell’ospedale di Verbania, da dove nei giorni successivi partirono alla volta dei paesi d’origine.

Superata l’emergenza, l’azienda ha presentato il conto al comune di Stresa, che l’ha respinto. La fattura non è stata saldata perché, sostiene l’ente locale, non è di sua competenza. I dubbi sono stati messi nero su bianco nella richiesta di parere che il sindaco Marcella Severino ha spedito il 29 ottobre (con integrazioni del 19 novembre) alla Corte dei conti del Piemonte tramite il Consiglio delle autonomie locali.

Il quesito è se quella spesa –un debito fuori bilancio, in quanto non previsto– è per legge imputabile al Comune nonostante il trasporto, recupero e sistemazione delle salme è stato ordinato dall’Autorità giudiziaria.

Come si legge nella risposta della Corte dei conti, il primo cittadino sostiene che, secondo lo specifico regolamento regionale, il Comune dovrebbe pagare “in caso di indigenza dei defunti e stato di bisogno della famiglia”, oppure per i “soli deceduti sulla pubblica via e in luogo pubblico”.

Senza entrare nel merito della situazione patrimoniale delle vittime e dei loro familiari -un fatto che sarebbe quanto meno irriguardoso in una vicenda che già non fa una buona pubblicità alla città e al territorio- Severino ha osservato che i corpi si trovavano in “zona impervia di proprietà privata” (riconducibile alla famiglia Borromeo, ndr) e che le norme regionali dispongono che “i trasporti di cadavere sono a carico di chi li richiede o li dispone”, quindi la responsabilità è dell’Autorità giudiziaria, “soggetto che contattò l’impresa funebre e dispose il recupero dei corpi delle vittime nell’immediatezza dell’intervenuto disastro”. Il conto, quindi, sarebbe da addebitare alla Procura, o ai carabinieri o a chi, materialmente, chiamò l’impresa.

Sollecitata, la Corte dei conti a sezioni riunite ha dichiarato inammissibile il quesito. I giudici contabili hanno detto di non potersi esprimere con un avallo preventivo su una decisione amministrativa già presa (il rifiuto di pagare il conto) e che è oggetto di un contenzioso legale tra Comune, Autorità giudiziaria e impresa. E, peraltro, su un tema che non riguarda l’interpretazione di norme contabili.

I giudici, pur non sbilanciandosi (non possono) si sono soffermati su un aspetto: sulla qualificazione di luogo pubblico e privato, lanciando una sorta di “ciambella di salvataggio” al sindaco.

È vero che i corpi si trovavano in un bosco dei Borromeo al Mottarone, ma è pur vero che prima di schiantarsi erano passeggeri di un servizio di trasporto concesso dal comune a un privato. Come a dire che di appigli giuridici per motivare la spesa di 18.000 euro ce ne sarebbero.

E ve ne sarebbero anche di opportunità, perché finire in causa con le pompe funebri e, forse, con la Procura, per una cifra che, seppur non irrisoria, il comune di Stresa può ben sopportare (o, magari, anticipandola e mettendola in conto agli eventuali responsabili del disastro), rischia di avere effetti negativi di immagine.

 


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